Leonardo

Fascicolo 12


Il pellegrino
di Ortensio (Emilio Cecchi)
pp. 18-19


p. 18


p. 19



   Se la foglia che cade batterà alla finestra, anima mia ti porrai in cammino. Perché io sono stanco di questo cielo, son stanco di questo cipresso che indulge le sue ombre agli amori loquaci dei passeri; son stanco di voi poeti, di voi amici, e di te, o mia città fragorosa dalle fosche porte e dal nebbioso fiume.
   Alzati ormai anima mia. Succingi il saio, allaccia i calzari. É passata la foglia e lievemente ha sfiorato l'imposta.
   Sia il tuo viaggio senza noia e senza compni.
   Addio dunque, domestici lari, pergola consapevole di mattutini studi, focolare tranquillo ove per assai tempo covai la stenta fiammella di gloria. Ai topi i volumi magni e gli elaborati manoscritti! Come un ragazzo che finiti gli studi dà un calcio alle pandette e alla santa autorità paterna, e zufolando esce alla ventura, m' avvio per le strade più deserte oltre le mura cittadine. V'è un molle odor di narcisi, le ciocche biancofiorite dell'ulivo si sporgono dalle siepi. Son io quello che ieri credette saper qualcosa della vita? Io che ieri teorizzai di poesia? E cos'è questa dolcezza che mi vellica l'anima?
   Spirito mio, egli è che ora tu senti! Come un magro anacoreta stanco di digiuni, come un cercatore sazio di dogmi, tu sei uscito dalla tua gabbiuzza di parole. Come Fausto tu hai dimesso il vaio e i formulari delle sterili analisi. Tu sei giulivo come un grillo e leggero come il respiro. Tu hai perso la scaglia che ti faceva opaco. Se tu dormirai fra l'erba la lucertola crestata ti verrà curiosando vicino, la lodola verrà a cercare i granelli nella tua mano. In beata dimenticanza vai come il vento che si piega a baciar molte piagge e le ridesta.
   Io mi affaccerò alle siepi di bossolo dei piccoli cimiteri spersi fra le colline e mi parrà di vedere sotto le pietre bianchissime, come per urna di vetro i dolci visi dei morti sconosciuti. Nelle notti plenilunari spierò tra le frasche la danza delle lepri vagabonde. Così vagando giungerò a un dirupo ch'io vidi in sogno, sospeso sur un torrente che romoreggia. Vi son foschi cipressi dalle barbe contorte e scalzate dall'alluvione, e fra le rovine un arco trionfale di candido marmo. Come un condottiero vincitore d'una provincia, io passerò tra l'inquietudine dell'acque e del vento, e m'accoscerò nel freddo nido d'un aquila pellegrina.
   Ah! perchè v'abbandonai? Chi mi chiamava laggiù? Mi chiamava l'acqua che insegna più che non s'impari in un volume, m'invitava l'occhio del fiore che più discerne delle vostre teorie.
   Che m'importa se poi da molte parti verranno uomini con strida di minaccia, e chiameranno la mia solitudine follia, e diranno: costui scongiura malefizi sul fiore delle nostre vigne; e mi mostreranno le forche e m'aizzeranno contro i mastini. Chi s'attenterà a varcare il periglioso crinale battuto dal vento? E di canti io empirò la mia solitudine.
   Quando, dopo passato molte terre, dopo uditi molti mari, dopo corsi molti fiumi, i giorni tristi verranno; non battere ai popolosi palazzi ove si dimandano menestrelli per canto. Meglio indossare una casacca a doghe glauche e vermiglie, insidiar coi lacci una bertuccia, ammaestrarla, e girar con lei per le città e per i borghi.
   La scimmia ti guarderà con occhi meravigliati quando fra l'attenta curiosità dei villani tu principierai la storia dell'anello che fa invisibili o del filtro che fa belli. E la tua anima nel profondo gioirà come se tu avessi liberato un mito sperso nell'ombre letali dei tempi, e sarà realtà la fiaba e la vita, magia.
   Mentre un giorno tu racconterai sulla tolda d'una barbaresca, o in un porto dell'Egeo fra i mercanti di Arabia e gli orefici di Turchia, ti chiameranno forse le rondini che ritornano dalla patria.
   E tu penserai: Ma cos'hanno le rondini che pigolano e passano così prolissamente a grandi giri.
   E i mercanti delusi alzando le spalle: E cos'ha il giocoliere? perchè smette la sua storia? e leva quella così incomprensibile omelia? Il cerchio sembrerà l'umanità turbata, il cantore un aèdo o un Dio.
   Per quel giorno tutti se ne andranno senza lasciar nulla nel tuo piattello. E ricco più di Carlomagno tu starai superbo della tua variopinta cenciaia, mentre la bertuccia tremando ti stringerà il collo con i suoi piccoli bracci e ti guarderà con le lacrime negli occhi maliziosi.
   - Conosci tu Amleto il meditabondo? Conosci Tristano l'amoroso?.
   Io, l'ho già detto, io son uno che si desta e non ho alcun amico vero. Ho lasciato bensì dei giuocattoli che avean quei nomi che or ora tu hai accennati, ma certo non è di quelli che tu intendi parlare..
   Io mi rammento appena di certi fiori piccoli come le pratoline, con mille lingue violette e con mille occhi color di miele. E mi rammento d'una che avea la voce melanconica e gli occhi soavi.


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